IRENE CAROSSIA
Scrivere, scrivere, scrivere...dare forma ai pensieri, ai progetti, alle voci che affollano la mente e che chiedono spazi sulla scena come sulla carta.
Scrivo da sempre per il Teatro: drammaturgie, testi letterari tridimensionali che nascono per volare oltre il foglio di carta e farsi corpo, voce ed emozione in palcoscenico.
Testi che porto in scena con le mie Compagnie Stabili raccontando verità umana.
Scrivo per raccontare la storia delle donne, quei frammenti che ci sono stati taciuti ma attraverso i quali è possibile meglio comprendere l'oggi, che a volte appare confuso e faticoso.
Scrivo per nominare io stessa i tasselli del mondo e poter poi creare nuove mappe attraverso le quali scoprire sentieri ancora inesplorati del sentire.
Scrivo perché la scrittura mi appartiene, è il mio linguaggio, come la musica, la recitazione, la danza.
Scrivo per insegnare a scrivere perché non riesco ad immaginare un futuro deprivato dell'armonia della scrittura e della lettura.
Scrivo perché non ne potrei fare a meno.
Scrivo perché è la mia professione, quella dell'anima, che nutro senza mai fermare la mia sete di sapere.
Direttrice Artistica e Fondatrice del CRF_CAROSSIA, Centro di Ricerca e Formazione Carossia, sito in Via Baccelli, 7 - Lissone: Teatro, Museo di Arte Contemporanea e Spazio Letterario.
Scrittrice, drammaturga, regista, cantante e pianista, attrice e danzatrice.Docente di Drammaturgia, Teatro, Teatrodanza, Canto, Danza Contemporanea
Docente di Storia delle donne
Autrice di: Saggi su La Storia delle Donne
Testi teatrali
Racconti
Biografie
Favole
Romanzi
Testi critici su Arte, Teatro, Cultura, Letteratura, scienze umane
L'ULTIMO ATTO DELLA DUSE, SULLA SOGLIA DELL'ETERNITÀ
A Vigevano, Irene Carossia interpreta la grande attrice: emozione e commozione a Ondedurto.arte
di Roberto Comelli
Ogni volta che la compagnia Carossia è di scena nello spazio artistico di Ondedurto.arte - inverando un'affettuosa collaborazione tra due realtà culturali ormai gemellate - la sede dell'associazione vigevanese accoglie un pubblico traboccante e appassionato - tra il quale abbiamo registrato anche la presenza dell'assessore Brunella Avalle in rappresentanza della Municipalità - in grado di tributare alle interpreti l'ascolto attento e dedicato che meritano. Tanto più nella circostanza di domenica scorsa, quando il terzetto di affiatate attrici guidato dalla poliedrica direttrice artistica Irene Carossia - anche regista e autrice, oltre che cantante, coreografa e danzatrice - ha omaggiato la città di Vigevano con una "pièce" intitolata "La mia anima è viva: Eleonora Duse".
L'opera teatrale prende l'avvio nel 1923, alla vigilia della partenza della diva sessantacinquenne, rientrata sulle scene dopo un primo ritiro quattordici anni prima, per l'ultima tournée negli Stati Uniti - una fatica titanica e debilitante, per lei già malata di tisi. Con la protagonista - interpretata dalla Carossia - sono la fedele segretaria e collaboratrice Désirée Von Wertheimstein e la sarta e cameriera Maria Avogadro. Due figure chiave - quasi devoti angeli custodi, che la Duse ricambiava con un sentimento simile a quello materno - qui impersonate dalle valenti Luisa Caglio e Stefania Venezian, brave a tratteggiare due nature femminili peculiati e complementari, l'una più volitiva e pragmatica, l'altra più dolce e sognante, entrambe accomunate da un sodalizio di fedeltà all'arte e alla persona della grande artista.
Mentre i preparativi per la partenza verso il transatlantico Olympic (gemello del Titanic) che le attende all'imbarco di Cherbourg si alternano alla trepidazione per la salute della protagonista, si accendono ricordi e riflessioni, venati talvolta di nostalgia o di malinconia, talaltra di passione e di ardore teatrale. Così, si riaffacciano alla memoria e alla sensibilità dell'attrice, innanzi tutto, gli esordi difficili e la vita nomade ("nata in un albergo, dove altro potrei morire?" - avverrà all'Hotel Schenley di Pittsburgh, il Lunedì di Pasqua dell'anno successivo. L'albergo di nascita casuale fu, come noto, il vigevanese "Cannon d'Oro"). L'attaccamento quasi mistico per Asolo e le sue adorate montagne, "la prima e l'unica casa che abbia mai avuto". Gli amori trascorsi, come quello che fu profondo e ora appare velato di tristezza per "Gabriele" (D'Annunzio). Lo sdegno per le trucide fanfaronate di Mussolini, che la vuole pensionare per liberarsene, e la riconoscenza verso l'incanto delle parole di una recensione del giovane Piero Gobetti ("La Duse in scena è una creatura religiosa, dall'intimità aristocratica"). Senza tralasciare l'affetto per la figlia Enrichetta, cresciuta intenzionalmente lontano dal mondo dello spettacolo e ora sposata con un professore di Cambridge.
Ma il centro poetico del lavoro proposto sulla scena quasi amichevolmente raccolta e famigliare della sede di Ondedurto.arte è la profonda meditazione di una creatura che ha attraversato la gloria delle stagioni, sovente sola ed esposta alle ferite del tempo e ai pregiudizi del mondo a lei contemporaneo. "Noi attrici non siamo eroi nella dimensione del 'per sempre', siamo solo povere interpreti velocemente disarcionate dal cavallo dell'arte". E ancora - "Vorrei avere più tempo, ma il futuro è un lusso della giovinezza. Nell'esistenza, siamo specchi andati in frantumi. Occorre resistere, per non dimenticare i propri sogni." E poi, la straordinaria testimonianza della consumata vestale del palcoscenico, che sopravvive quasi soltanto grazie alla forza che attinge dai suoi indimenticabili personaggi femminili. Come l'amata Ellida ibseniana, "La donna del mare" sospesa tra l'abitudine di un marito borghese e la mitologia inconscia e affascinante di un'altra vita ignota. Una figura di giovane moglie che l'attrice matura interpretò senza trucco, con i suoi capelli bianchi, senza che fosse notata alcuna dissonanza. "Le eroine hanno un solo istante, per questo sono così veementi. Dopo di noi, esse continueranno la loro corsa con altri volti. La verità è che loro sono eterne."
Qui, in questo snodo cruciale, arduo e insolubile, tra arte e vita - vera "fornace d'oricalco incandescente", come Pontiggia definiva la poesia - insieme al pubblico abbiamo percepito più urgente e struggente in Irene Carossia la voce e l'impronta della fuoriclasse, l'incarnazione di un ruolo quasi cucito con dolore e tremore sulla propria epidermide - e che l'attraversa come una ferita sublime. E la rivelazione di come i doni più preziosi di entrambe - la vocazione artistica e l'esperienza esistenziale - siano nel profondo intrisi di dolore e di splendore.
L'estrema tournée americana della Duse fu trionfale. Migliaia di spettatori - tra i quali i Rockfeller, Rodolfo Valentino e Gloria Swanson - la salutarono al debutto del Metropolitan di New York con venti minuti di applausi ininterrotti. In centinaia rimasero fuori dal teatro, esaurito da settimane. "Diretta e grandissima - scrisse Charlie Chaplin, allora trentacinquenne - È l'artista più grande che abbia mai visto."
Irene Carossia le fa dire, come in un ultima scena, prima che si dischiuda la soglia sul palcoscenico dell'eternità: "Desidererei fermare tutto ciò che è intorno a me nel mio sguardo. Non sono le cose e gli oggetti, sono le emozioni e i sentimenti. La mia anima è viva e vibrante, io la sento." E infine - "Bisogna tenere acceso il sentire, anche nelle notti senza luna."
La diva amava i fiori, li usava spesso - fuori e dentro il teatro - per impreziosire con intime sfumature impreviste le proprie interpretazioni. Ecco, domenica era come se ci fossero tantissimi fiori, sulla scena palpitante di Ondedurto.arte.
"LA MIA ANIMA È VIVA: ELEONORA DUSE"
In occasione del centenario della morte della Divina Duse
Testo e regia: IRENE Carossia
con
Irene Carossia
Luisa Caglio
Stefania Venezian
Costumi : Anna Maria Mazzoni
Luci e audio: Lorenzo Rivolta
ha presentato Silvana Giannelli
Retecultura Vigevano
Centro di Ricerca e Formazione Carossia
Spazio Artistico Ondedurto.arte
Vigevano. Via Cairoli 1
Domenica 17 novembre 2024
-